Source text in English | Translation by Giovanni Milone (#30587) |
Imagine dining in a European capital where you do not know the local language. The waiter speaks little English, but by hook or by crook you manage to order something on the menu that you recognise, eat and pay for. Now picture instead that, after a hike goes wrong, you emerge, starving, in an Amazonian village. The people there have no idea what to make of you. You mime chewing sounds, which they mistake for your primitive tongue. When you raise your hands to signify surrender, they think you are launching an attack. Communicating without a shared context is hard. For example, radioactive sites must be left undisturbed for tens of thousands of years; yet, given that the English of just 1,000 years ago is now unintelligible to most of its modern speakers, agencies have struggled to create warnings to accompany nuclear waste. Committees responsible for doing so have come up with everything from towering concrete spikes, to Edvard Munch’s “The Scream”, to plants genetically modified to turn an alarming blue. None is guaranteed to be future-proof. Some of the same people who worked on these waste-site messages have also been part of an even bigger challenge: communicating with extraterrestrial life. This is the subject of “Extraterrestrial Languages”, a new book by Daniel Oberhaus, a journalist at Wired. Nothing is known about how extraterrestrials might take in information. A pair of plaques sent in the early 1970s with Pioneer 10 and 11, two spacecraft, show nude human beings and a rough map to find Earth—rudimentary stuff, but even that assumes aliens can see. Since such craft have no more than an infinitesimal chance of being found, radio broadcasts from Earth, travelling at the speed of light, are more likely to make contact. But just as a terrestrial radio must be tuned to the right frequency, so must the interstellar kind. How would aliens happen upon the correct one? The Pioneer plaque gives a hint in the form of a basic diagram of a hydrogen atom, the magnetic polarity of which flips at regular intervals, with a frequency of 1,420MHz. Since hydrogen is the most abundant element in the universe, the hope is that this sketch might act as a sort of telephone number. | Immaginate di star cenando in una capitale europea e di non conoscere la lingua locale. Il cameriere parla un inglese rudimentale, ma in un modo o nell'altro riuscite a individuare qualcosa a voi noto sul menu, consumarlo e pagare. Provate adesso a calarvi in uno scenario diverso: nel corso di un'escursione, qualcosa va storto e vi ritrovate esausti e affamati in un villaggio amazzonico. Gli indigeni si chiedono cosa fare di voi. Mimate il rumore di mascelle che masticano, ma loro lo mal interpretano per un vostro primitivo idioma. Quando alzate le mani in segno di resa, pensano che vogliate attaccarli. Comunicare, in assenza di un contesto condiviso, non è semplice. Prendiamo ad esempio il caso dei siti radioattivi, che devono essere lasciati in religioso isolamento per decine di migliaia di anni. Considerando che già solo l'inglese di mille anni fa risulta oggi incomprensibile alla maggior parte dei contemporanei, gli enti preposti hanno faticato non poco per elaborare messaggi di avvertimento da associare ai rifiuti nucleari. I comitati responsabili di tale incarico hanno battuto le strade più diverse: da pile di chiodi per cemento a formare una torre a "L'urlo" di Edvard Munch, fino a piante modificate geneticamente per mostrare un allarmante colore blu. Nessuna di tali soluzioni può essere considerata, con certezza matematica, a prova di futuro. Alcune delle persone che hanno contribuito a creare tali messaggi sono state anche coinvolte in una sfida addirittura più grande: comunicare con forme di vita extraterrestri. È l'argomento di "Extraterrestrial Languages", il nuovo libro di Daniel Oberhaus, giornalista di Wired. Sul modo in cui gli extraterrestri potrebbero acquisire informazioni, non si sa nulla. Due placche inviate nello spazio nei primi anni '70 con le sonde Pioneer 10 e 11 mostrano esseri umani nudi e una mappa approssimativa per individuare la Terra. Soluzioni elementari, ma fondate su un assunto non scontato: che gli alieni dispongano del senso della vista. Tali manufatti, in ogni caso, non hanno che una probabilità infinitesima di essere trovati, e le trasmissioni radiofoniche dalla Terra, che si propagano alla velocità della luce, hanno possibilità ben più grandi di stabilire un contatto. Ma, proprio come una radio terrestre deve essere sintonizzata sulla giusta frequenza, lo stesso vale per il suo equivalente interstellare. In che modo gli alieni potrebbero incappare in quella corretta? La placca Pioneer fornisce un indizio, consistente nel diagramma basilare di un atomo di idrogeno, la cui polarità magnetica oscilla a intervalli regolari con una frequenza di 1.420 MHz. Essendo l'idrogeno l'elemento più abbondante nell'universo, la speranza è che questa abbozzo di indicazione possa fungere come una sorta di numero di telefono. |